Nell’articolo di questo numero di CoachMag, volendo dare il mio contributo al focus condiviso, metto un po’ da parte il mio specifico ruolo di esperto in PNL e ti parlo della mia professione di Coach.
Posto che, quando una persona ha intenzione di partecipare a un corso, compila e firma naturalmente un modulo di iscrizione, allo stesso modo quando inizia un percorso di Coaching compila un accordo di collaborazione: il Patto di Coaching.
Per quanto mi riguarda, si tratta di un semplice documento (non quindi scritto in “legalese”) che regolamenta il rapporto professionale tra me e il Coachee. Qualcosa che faccia un po’ di ordine.
Quindi, dal momento che abbiamo un rapporto professionale, non dovrebbero esserci dubbi sull’avere un documento o meno che lo sancisce: si fa. Lo vedo come una sorta di “assicurazione della relazione”: il patto si occupa di regolamentare la parte per molti noiosa e burocratica di come mantenere la relazione sulla buona strada, in modo tale che tu possa occuparti dell’aspetto divertente: il Coaching, appunto.
Avere un Patto di Coaching ti permette di:
- Specificare la natura dell’attività e di chi sono le responsabilità: quando inizi un percorso di Coaching, pensi a quanto tutto sarà meraviglioso e al valore aggiunto che porterai al tuo Coachee. Ma non sempre tutte le ciambelle escono col buco: c’è chi non ottiene risultati e recrimina «ma tu mi avevi promesso che…» o cose del genere. E da qui nascono potenziali problemi. Un buon Patto di Coaching che specifica la natura dell’attività che farai ti mette un po’ più al sicuro o, perlomeno, chiarisce meglio la situazione in caso di dubbio: verba volant, scripta manent.
- Dare sicurezza e credibilità: quando un cliente decide di fare Coaching con te e tu sigli l’accordo con un bel patto di Coaching dettagliato, gli dimostri che hai esperienza, che sai come funzionano le cose e che può sentirsi in mani sicure (ovviamente non basta questo, ma è un buon inizio).
- Spiegare al Coachee come ottenere il meglio dalle sessioni di Coaching: un buon Patto di Coaching dovrebbe contenere le linee guida di come funzionano le sessioni con te. È un documento utile sia al tuo cliente sia a te. Tutela entrambi e vi ricorda chi deve fare cosa.
Cosa quindi, nello specifico, deve esserci in un buon Patto di Coaching, in base alla mia esperienza?
- Oggetto: di cosa tratta questo accordo e cosa il cliente ha comprato da me.
- Natura dell’attività di Coaching: cosa faccio come Coach e cosa non faccio. Di chi sono le responsabilità, cosa garantisco e cosa no.
- Modalità di esecuzione dell’attività di Coaching: come funziona l’attività di Coaching (tempi del percorso, durata delle sessioni, modalità di erogazione, ecc.).
- Impegni e pagamenti: quotazione e modalità di pagamento, eventuale interruzione del percorso da una delle parti, modalità di rimborso.
- Riservatezza: non diffusione di determinate informazioni che emergono durante la sessione di Coaching da entrambe le parti.
- Privacy: tutela dei dati personali.
Sono ormai tanti anni che personalmente uso questa tipologia di accordo. E credo sia molto professionale farlo, soprattutto se vogliamo che la professione del Coach acquisti sempre di più la meritata riconoscenza e il rispetto. Partiamo noi per primi nel rispettarci.