Quando il cervello non è nostro alleato (se non sappiamo come usarlo)

di Elena Re

La nostra vita è regolata da bisogni che cambiano nel corso del tempo.

Questa frase è riferibile sia, in senso più ampio, al percorso evolutivo che l’umanità ha affrontato con il succedersi dei millenni a partire dalla preistoria, sia, in una prospettiva più limitata, al corso della nostra vita biologica.

In entrambe le prospettive, è evidente che l’essere umano percorre un viaggio che parte da una prima fase, durante la quale le energie sono concentrate sull’esaudire i bisogni primari e sulla sopravvivenza fisica, procede attraverso il soddisfacimento di bisogni sempre più complessi e approda ad uno stadio che lo vede impegnato nel perseguimento di obiettivi quali la realizzazione personale, l’espressione dei propri talenti e l’apporto di un proprio contributo distintivo all’ambiente in cui vive.

Questo processo evolutivo ha luogo a patto che i bisogni primari, fisiologici e di sopravvivenza siano soddisfatti e garantiti, come ha evidenziato, fra gli altri, lo psicologo Abraham Maslow con il suo concetto di “Gerarchia dei Bisogni”.

Quale ruolo gioca in tutto ciò il nostro cervello?

Premesso che le nostre conoscenze sul funzionamento del cervello sono ancora parziali e in evoluzione, negli ultimi anni le neuroscienze hanno ottenuto risultati senza precedenti che, incrociati con quanto appreso dagli studi portati avanti in altre discipline, ci hanno permesso di comprendere meglio il ruolo di questo organo così importante e complesso nella nostra vita.

Sappiamo con certezza che il nostro cervello è uno straordinario alleato nel garantire la nostra sopravvivenza e il soddisfacimento dei nostri bisogni fisiologici. Al tempo stesso, dobbiamo essere consapevoli che alcune sue caratteristiche, così funzionali in alcune situazioni, ci remano contro quando arriviamo a voler soddisfare i bisogni più complessi legati alla realizzazione del sé, all’evoluzione, al contributo.

Sono proprio queste caratteristiche a mettere in atto i peggiori autosabotaggi, perché il loro fine ultimo è sempre, indiscutibilmente, la nostra sopravvivenza e il nostro bene!

Cosa dobbiamo sapere per cambiare le cose?

Ecco alcuni modi con cui il nostro cervello, nel proteggerci, rischia di portarci all’autosabotaggio.

Prima di tutto, sa mettere in atto istantaneamente e automaticamente meccanismi di difesa di grande efficacia in un ambiente pericoloso, quale era quello naturale in cui vivevano i nostri antenati e quale a volte è quello artificiale nel quale ci muoviamo noi.

Queste reazioni istintive, che a volte possono scatenare tempeste emotive che impattano pesantemente sulle relazioni, vanno prima di tutto riconosciute come tali. È importante accettare che non possono essere represse ma, passato il primo istante governato dall’istinto, possono e devono essere gestite partendo dalla conoscenza di sé e delle proprie modalità di elaborazione e restituzione delle informazioni.

In secondo luogo, il nostro cervello ha bisogno di essere veloce e pertanto crea scorciatoie, vale a dire reti neurali che rendono la trasmissione delle informazioni più rapida ed efficiente.

Conoscere questa particolare caratteristica del cervello è essenziale per un Coach in quanto, nell’accompagnare il Coachee verso un cambiamento (di pensiero, comportamentale, etc.), deve sapere come gestire il percorso che le informazioni fanno nel nostro cervello. Prendere l’autostrada è più semplice che costruire una nuova via, ma questo non significa che non si possa fare. L’importante è incanalare gli impulsi elettrochimici in una nuova direzione, accompagnarli e far sì che percorrano il nuovo sentiero abbastanza a lungo da renderlo profondo e accessibile quanto quello precedente.

Infine, è necessario sapere che il nostro cervello, quando è affaticato o sottoposto a stress, mette alcune sue parti in risparmio energetico in modo da valorizzare quelle più forti, che ritiene garantiscano maggiori probabilità di successo.

Saperlo ci permette di agire e accompagnare il nostro Coachee a fare altrettanto, in modo da mantenere il cervello in forma e interconnesso, lavorando in particolare sull’integrazione emisferica, sulla gestione dello stress, sulla produzione di neurotrasmettitori e su alcuni altri fattori che influiscono sulla prestazione cerebrale.

Costruendo su queste e altre basi, un bravo Coach può quindi intervenire su tutte quelle sovrastrutture che non dipendono dalla nostra neuro-fisiologia e prevenire così gli autosabotaggi che sono generati dal nostro percorso di vita e dai nostri schemi di pensiero e comportamentali.